Mi ricordo di una serata, dopo una splendida festa con balli, suonatori di chitarra a quattro corde e fiumi di "pombe", finita seduti ad ascoltare Baba che raccontava le storie dei Warangi (badate bene storie, non miti!) perché venissero tramandate come avveniva da chissà quante generazioni.
Mi ricordo la storia delle persone in fondo al lago, della strega nella montagna e altre ancora, tutte tramandate perché fossero chiari, per esempio i rischi di andare la notte a pescare o di avventurarsi sulla montagna senza conoscere la strada.
Mi ricordo come la semplicità di quel momento mi facesse sentire parte della famiglia: io e Maria Nella, seduti come due bambini al lume della lampada a olio, ad ascoltare Baba che raccontava le storie della tribù, perché come gli altri fossimo pronti ad affrontare la vita e perché anche noi facessimo la nostra parte per tramandare questo sapere ai bambini delle prossime generazioni.
Poco importa se Baba raccontasse in kirangi e se noi dovessimo strappare scampoli di traduzione da Mwinjo o da Msami quando, incautamente, ci passavano a tiro. Il momento era quello e la sensazione è ancora impressa nel mio cuore: noi siamo una famiglia.
Ero partito spinto da un’idea romantica dell’Africa ma ho incontrato una realtà che, per quanto più dura, è incredibilmente più bella.
Duccio Masare